Premessa

L’Inps, con il messaggio del 9 ottobre 2020 n. 3653, interviene su alcuni aspetti particolarmente critici relativi alla gestione delle certificazioni mediche di malattia e della quarantena legate alla pandemia. Il messaggio fa seguito al precedente del giugno 2020.

Confindustria ha, fin dall’inizio dell’emergenza, evidenziato all’Istituto, ai Ministeri del lavoro e della salute, i numerosi e gravi problemi inerenti a questo tema.

Una circolare dell’Inps è stata da tempo sottoposta al Ministero del lavoro, ma è ancora in attesa di valutazione. Il messaggio, nonostante alcuni profili non condivisibili, pone le premesse per risolvere alcune delle questioni evidenziate da Confindustria.

Ambito applicativo

Innanzitutto, per comprendere le conclusioni cui perviene l’Istituto, occorre precisare che il chiarimento dell’Inps si riferisce alle ipotesi di quarantena (commi 1 e 2) e di certificazione di malattia (comma 6) previste dall’art. 26 del DL n. 18/2020.

Il comma 1 dell’art. 26 – richiamando espressamente i DL 6 e 19 del 2020 – fa conseguentemente riferimento a tre ipotesi di quarantena:

Il comma 2 fa riferimento ai lavoratori cd fragili, la cui situazione è equiparata al ricovero ospedaliero.

Alle ipotesi di quarantena si aggiunge la certificazione di “malattia accertata” (art. 26, comma 6, DL n. 18/2020).

Quarantena e malattia

Primo aspetto di rilievo è la espressa affermazione che “la quarantena e la sorveglianza precauzionale per i soggetti fragili – di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 dell’articolo 26 del D.L. n. 18 del 2020 – non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

A parte l’errato riferimento ai lavoratori di cui al primo comma dell’art. 26, definiti come fragili, la disposizione consente di distinguere le ipotesi della quarantena dalla situazione della malattia conclamata o accertata: nonostante l’equiparazione ai fini economici della quarantena alla malattia, nella quarantena non trova applicazione la tutela previdenziale della malattia in quanto manca lo status di malattia accertata, che preclude lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Ne consegue che il lavoratore in quarantena perché positivo al virus ma asintomatico non ha alcuna incapacità allo svolgimento dell’attività lavorativa, mancando, in questa situazione, una “patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa”, che è il “presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune”.

Risulta così superato il dubbio che il lavoratore positivo ma asintomatico possa lavorare, ovviamente in modalità di lavoro agile.

Resta da considerare che il soggetto in quarantena le cui mansioni lavorative sono compatibili con il lavoro agile, percepiranno la normale retribuzione, per cui non opererà la equiparazione tra quarantena e malattia ai fini economici. Nella differente ipotesi in cui le mansioni non sono compatibili con il lavoro da remoto, tornerà ad operare la situazione di equiparazione tra quarantena e malattia, con conseguente subentro della prestazione previdenziale economica.

L’Istituto non ha chiarito quale sia la situazione del lavoratore nel periodo tra il triage telefonico e la disposizione dello stato di quarantena, aspetto rilevante in quanto la legge tutela la situazione di quarantena solamente in presenza di un provvedimento formale che la disponga.

Nella diversa ipotesi in cui ci si trovi in una situazione di “malattia conclamata”, attestata da certificato medico, l’Istituto richiama correttamente la temporanea incapacità lavorativa, con diritto alle prestazioni previdenziali. Il presupposto, in questo caso, è la perdita della capacità di guadagno.

Il messaggio non approfondisce espressamente il tema del concetto di “malattia conclamata” (quella che, nel comma 6 dell’art. 26, viene definita come “accertata”) e la conseguente distinzione tra semplice contagio, da un lato, e “patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa”, che costituisce il “presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune”, dall’altro.

Nel momento in cui, tuttavia, l’Istituto ha ricondotto l’ipotesi del lavoratore positivo al virus ma asintomatico alla ipotesi della quarantena, può dirsi che dall’ambito della quarantena resta estranea esclusivamente la situazione del lavoratore positivo al virus e sintomatico, ipotesi nella quale si è in presenza di una malattia conclamata (o accertata). Tale distinzione conferma gli aspetti differenziali tra contagio nel soggetto asintomatico e malattia con sintomi e, quindi, anche  tra guarigione dal virus e guarigione clinica dalle manifestazioni cliniche (v. comunicazione del CTS del 19 marzo 2020).

A tal proposito, si evidenzia anche la incongruenza delle modalità di tutela assicurativa Inail, che fanno decorrere l’obbligo di denuncia dalla data di attestazione positiva del contagio, senza distinguere tra contrazione del virus e malattia (v. circolare n. 3675 del 17 marzo 2020), e, quindi, equiparando la sola positività all’infortunio, a prescindere dal fatto che il soggetto manifesti o meno i sintomi.

Sul piano operativo, residuano criticità – a causa della trasmissione al datore di lavoro della sola prognosi e non della diagnosi – in merito alla possibilità per il datore di lavoro di conoscere tempestivamente se il lavoratore si trovi in condizione di malattia conclamata, che impedisce la prestazione, ovvero la quarantena per una delle diverse motivazioni previste dalla legge, che apre la strada alla valutazione della possibilità di lavoro in modalità agile. La questione è stata sottoposta all’Inps, che si è impegnato a trovare tempestivamente una soluzione (ad esempio, comunicando all’azienda la situazione di quarantena).

Le ordinanze che introducono divieti di spostamento e la quarantena

Il secondo aspetto di rilievo riguarda la qualificazione e le conseguenze dell’ordinanza dell’autorità locale che introduce divieti di spostamento (con conseguente preclusione della possibilità di rendere la prestazione lavorativa): è necessario, infatti, comprendere se sussistono, in questo caso, i presupposti per il riconoscimento delle prestazioni previdenziali connesse allo status di quarantena.

L’Istituto, sulla base della previsione che legittima, in ipotesi similari, il ricorso agli strumenti di sostegno al reddito[1], esclude la possibilità di applicare il regime della quarantena, che presuppone un provvedimento dell’operatore di sanità pubblica (ma occorre rilevare che anche l’ordinanza limitativa degli spostamenti ha natura di cautela sanitaria).

Deve, quindi, ritenersi che l’interpretazione analogica dell’Istituto consenta di applicare i medesimi principi (ricorso agli ammortizzatori sociali) ad eventuali altri casi (“in tutti i casi”, interpreta estensivamente l’Istituto). Va rilevato che le ipotesi di ricorso agli ammortizzatori sociali in queste situazioni sono legate al finanziamento degli stessi, per cui l’interpretazione estensiva appare introdurre potenzialmente oneri non adeguatamente coperti da apposite previsioni legislative.  

La quarantena in trasferta

Il terzo aspetto di rilievo riguarda la situazione del lavoratore posto in quarantena durante la trasferta in un Paese estero, ipotesi di particolare rilievo nell’attuale frangente. Secondo l’Istituto, la quarantena disposta dagli organismi sanitari dei Paesi nei quali la trasferta è svolta, non provenendo dalle autorità sanitarie Italiane, non legittima l’applicazione della tutela previdenziale (situazione di quarantena equiparata alla malattia). La conclusione non appare condivisibile, in quanto le tutele previdenziali seguono il lavoratore all’estero, e appare difficilmente sostenibile che, al pari dei certificati medici delle autorità sanitarie straniere, anche quello relativo alla quarantena non possa essere accolto dalle autorità sanitarie nazionali e adeguatamente valorizzato al fine di riconoscere la tutela economica previdenziale.

 Rapporto tra quarantena e strumenti di sostegno al reddito

L’ultima precisazione dell’Istituto riguarda la questione (affrontata già in passato dall’Istituto) del rapporto tra ricorso agli strumenti di sostegno al reddito e malattia (compresa la quarantena).

Quanto alla situazione del lavoratore destinatario di ammortizzatori sociali, il messaggio conferma che, sulla base della chiara previsione dell’art. 3, comma 7, del D.lgs. n. 148/2015, va applicato il “noto principio della prevalenza del trattamento di integrazione salariale sull’indennità di malattia”, anche perché, secondo l’Istituto, la fruizione dell’ammortizzatore sociale “determina di per sé la sospensione degli obblighi contrattuali con l’azienda”, il che “comporta il venir meno della possibilità di poter richiedere la specifica tutela prevista in caso di evento di malattia”.

L’equiparazione della quarantena alla malattia ai fini economici comporta, poi, che “le medesime indicazioni sopra esposte debbano essere applicate anche per la regolamentazione dei rapporti tra i trattamenti di integrazione salariale e le prestazioni della quarantena o della sorveglianza precauzionale per soggetti fragili, essendo le diverse tutele incompatibili tra loro”.  

I lavoratori destinatari degli ammortizzatori sociali, quindi, non potranno beneficiare dell’indennità di malattia.

Ricordiamo che, alla assolutezza del principio espresso dalla legge, fa da contraltare la posizione dell’Inps che, da sempre, interpreta la chiara disposizione legislativa in modo riduttivo, introducendo varie ipotesi (non previste dalla normativa) nelle quali prevale la malattia (da ultimo, precisate con il messaggio n. 1822 del 30 aprile 2020).

Si tratta di una ricostruzione non condivisibile per la quale sono in corso degli approfondimenti con il Ministero del lavoro.


Condividi l'articolo