Facciamo seguito alla recente nota sulle norme giuslavoristiche introdotte dalla legge n. 77/2020, di conversione del d.l. n. 34/2020, per informarvi che il Ministero del Lavoro, con una faq, ha dato la sua interpretazione dell’espressione “periodi di sospensione lavorativa” contenuta nell’art. 93, comma 1- bis. (testo della faq in calce).

La norma, come noto, ha imposto l’obbligo di proroga della durata dei contratti a termine, anche a scopo di somministrazione, e dei rapporti di apprendistato duale, appunto per un tempo corrispondente ai “periodi di sospensione lavorativa” che siano stati conseguenti all’emergenza epidemiologica.

Con la, ampiamente opinabile, motivazione che la proroga si giustificherebbe “al fine di evitare che la loro durata iniziale” (dei rapporti di lavoro a termine) “risulti di fatto ridotta per effetto di circostanze non imputabili al lavoratore” il Ministero, con questa faq, amplia il novero dei “periodi di sospensione” che darebbero adito alla proroga.

Ed infatti il Ministero non si limita a considerare la vera e propria sospensione lavorativa derivante da periodi di cassa integrazione correlati all’epidemia ma inserisce anche, a titolo d’esempio, la fruizione delle ferie.

Va ricordato che già nel Protocollo del 14 marzo 2020, poi integrato dal Protocollo del 24 aprile 2020 (quest’ultimo recepito nel DPCM del 17 maggio del 2020), si raccomandava l’incentivazione delle ferie e dei congedi retribuiti come una delle misure prevenzionali per dare concreta e immediata attuazione al distanziamento sociale nei luoghi di lavoro, prima che fossero adottate quella serie di misure straordinarie che possiamo riassumere, esemplificativamente, sotto il nome di Cassa Covid.

E’ innegabile, però, che esista una chiara differenza, sia in termini di costo del lavoro ma anche in termini di (relativo) “vantaggio” per i lavoratori, tra fruizione delle ferie e sospensione dal lavoro per intervento della Cassa integrazione.

Ed invece con una valutazione, a dir poco, sommaria, che si innesta su una norma già di dubbia tenuta costituzionale, il Ministero accomuna queste due fattispecie perché, come detto, prevarrebbe la finalità di “evitare che il lavoratore presti la sua opera per un periodo ridotto per effetto di circostanze non imputabili al lavoratore”

E’ facile replicare che le stesse circostanze non sono certamente imputabili neppure al datore di lavoro e, dunque, non si comprende proprio qual è la ratio della scelta di far subire a quest’ultimo gli effetti delle medesime circostanze.

Premesso, pertanto, un deciso dissenso sui contenuti della faq, riteniamo che, ove si volesse dar corso a quell’indicazione, andranno presi in considerazione solo e soltanto i periodi di ferie (e, al più, gli istituti contrattuali assimilabili come Rol, Par, permessi ex festività) che le imprese abbiano eventualmente utilizzato per far fronte agli effetti derivanti dalla pandemia ma non certamente periodi di ferie fruiti ma non connessi con l’evento pandemico.

Questa “distinzione” tra periodi di ferie, non di facile attuazione, si può prestare a contestazioni e può, pertanto, essere fonte di contenzioso, ma è una eventualità da verificare per cercare di “contenere” gli effetti, già molto pesanti, di una norma che ha aspetti fortemente critici.

Peraltro, come detto nella precedente nota, trattandosi di una proroga, il “recupero” dei periodi di sospensione non può riferirsi che a contratti in essere al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione, ossia il 19 luglio 2020.

TESTO DELLA FAQ

Come deve essere inteso il riferimento ai contratti a termine per la cui durata è prevista la proroga dall’articolo 3, comma 1-bis del D.L. Rilancio? Cosa si intende per “periodi di sospensione lavorativa”? Quali sono gli obblighi occupazionali?
La legge 17 luglio 2020, n. 77, di conversione del D.L. n. 34/2020 (c.d Decreto Rilancio) ha aggiunto il comma 1-bis all’articolo 93, disponendo che il termine dei contratti a termine, anche in somministrazione, e dei rapporti di apprendistato è prorogato per una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.Tale previsione, pertanto, si applica a tutti i rapporti di lavoro subordinato che non siano a tempo indeterminato, proprio al fine di evitare che la loro durata iniziale risulti di fatto ridotta per effetto di circostanze non imputabili al lavoratore. Ad esempio, ricadono nella proroga della durata:
– i contratti di lavoro a termine, ivi inclusi quelli stagionali;
– i contratti in somministrazione a tempo determinato, intendendosi il rapporto di lavoro che intercorre tra l’Agenzia per il lavoro e il lavoratore;
– i contratti di apprendistato, intendendosi quelli per il conseguimento di una qualifica e il diploma professionale e quelli di alta formazione e ricerca, limitatamente alla durata del periodo che precede la qualificazione.
Nel “periodo di sospensione” vanno compresi sia i periodi di fruizione di un ammortizzatore sociale Covid-19, sia l’inattività del lavoratore in considerazione della sua sospensione dall’attività lavorativa in ragione delle misure di emergenza epidemiologica da Covid-19 (es. fruizione di ferie).

In tutti questi casi il datore di lavoro, entro cinque giorni dalla data di scadenza originaria, deve effettuare la comunicazione obbligatoria di proroga, modificando il termine inizialmente previsto per un periodo equivalente a quello di sospensione dell’attività lavorativa.

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