Riportiamo il commento di Confindustria sui temi all’oggetto.

Il decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 disciplina, tra l’altro, la responsabilità penale per eventuali danni che dovessero derivare dalla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2) (art. 3).

La previsione in esame esclude la punibilità per lesioni ed omicidio colposo (artt. 589 e 590 cp) se, nell’atto della somministrazione del vaccino contro il COVID19, “l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.

La clausola ha, dunque, natura di scriminante della responsabilità e riguarda esclusivamente il periodo della campagna vaccinale. La disposizione attua, sul versante penale, il contemperamento tra il valore costituzionale della tutela della salute e la natura emergenziale della somministrazione del vaccino, escludendo che le conseguenze negative di un corretto atto medico vaccinale volto alla doverosa tutela della collettività ricadano sulla categoria professionale chiamata, in via emergenziale, a somministrare il vaccino.

Sul piano soggettivo, la disposizione non individua con precisione il soggetto attivo per cui sembra applicabile a chiunque faccia uso del vaccino (medici, infermieri, farmacisti, odontoiatri, etc.). Risultano, quindi, tutelati anche i medici competenti che dovessero effettuare la vaccinazione in azienda.

Sul piano oggettivo, la norma è piuttosto generica in quanto la condotta tutelata è il corretto “uso del vaccino” per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2 dal quale sia stato causato un evento dannoso (morte o lesioni). La disposizione sembra coinvolgere chi fa uso diretto del vaccino, a scopo di somministrazione, quindi il personale che esegue direttamente la somministrazione (il concetto di uso non dovrebbe riguardare, quindi, il semplice fatto di averlo preparato, scelto o messo a disposizione della popolazione).

La tutela è limitata nel tempo, ed opera esclusivamente se la somministrazione è “effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria, in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 78” (la cui durata non è definita nel Decreto attuativo del 2 gennaio 2021)

L’operatività della clausola scriminante della responsabilità è condizionata al rispetto sia delle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio sia delle circolari del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute.

Si tratta di due condizioni che, sia sul piano penalistico sia sul piano operativo, pongono notevoli dubbi per la loro ampiezza e indeterminatezza.

L’autorizzazione alla immissione in commercio

Si tratta di un provvedimento dell’Autorità per il farmaco (AIFA) nel quale sono contenute le valutazioni necessarie (chimico-farmaceutiche, biologiche, farmaco-tossicologiche e cliniche) al fine di assicurare i requisiti di sicurezza ed efficacia e sono esaminati i risultati delle ricerche condotte dall’azienda produttrice del farmaco stesso.

Occorre, tuttavia, osservare che, ad esempio per vaccino AstraZeneca, il provvedimento (Determina 30 gennaio 2021), oltre a contenere alcune indicazioni, precisa che “le   informazioni   riportate costituiscono  un  estratto  degli  allegati  alle  decisioni   della Commissione europea  relative  all’autorizzazione  all’immissione  in commercio dei farmaci. Si rimanda quindi alla versione integrale di tali documenti”.

Il provvedimento è infatti preceduto dalla autorizzazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale europea che trova i presupposti da analogo provvedimento dell’EMA (European medicine agency).

I parametri per determinare l’uso corretto (e la conseguente operatività della scriminante) vanno, quindi, rinvenuti in una serie di provvedimenti, che rendono assai evanescente il principio costituzionali di legalità, tassatività e determinatezza dei parametri della responsabilità penale.

Le circolari del Ministero della salute

Non meno indeterminato è il secondo parametro, ossia le “circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”. In particolare, da un lato, si evidenzia l’incertezza determinata dal continuo susseguirsi di circolari che, quale strumento interpretativo a carattere evolutivo secondo le mutevoli conoscenze scientifiche, modificano continuamente nozioni e considerazioni, così modificando anche i parametri delle condotte adeguate e, quindi, il perimetro della operatività della scriminante. Inoltre, il riferimento alla pubblicazione nel sito istituzionale non è un parametro sufficientemente determinato, in quanto verrebbero coinvolte quelle già pubblicate, quelle generiche e quelle riferite specificamente ad un vaccino, quelle che verranno emanate in futuro, senza che in ciascuna di esse sia puntualmente indicato il superamento o meno delle precedenti.

Per recuperare legalità e determinatezza sembrano quindi necessari dei correttivi che, da un lato, consentano di individuare puntualmente la documentazione, nazionale e comunitaria, inerente alla formale autorizzazione all’immissione in commercio e, dall’altro, impongano di specificare in ciascuna circolare il fatto che le indicazioni in essa contenute sono valide ai fini dell’operatività della scriminante ed anche il rapporto (superamento o integrazione) con le precedenti circolari.

L’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (art. 4)

L’altro tema di rilievo sociale e giuridico che la norma intende regolare è l’obbligo vaccinale, in attuazione della riserva di legge prescritta dall’art. 32 della Costituzione (“nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”).

Anche in questo caso, la norma costituisce attuazione dell’equilibrio tra tutela della salute (delle persone che si sottopongono alle cure sanitarie) e diritto, costituzionalmente tutelato, di non subire trattamenti sanitari non previsti per legge.

L’art. 4, dunque, disciplina l’obbligo vaccinale, introducendo anche molte perplessità sul piano operativo.

Al comma 1 si evidenzia, anzitutto, la logica dell’intervento del legislatore dell’emergenza: la considerazione della situazione di emergenza epidemiologica, il fine di tutelare la salute pubblica e quello di mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. Un equilibrio, dunque, necessario per non mettere a repentaglio la salute di chi si sottopone a cure mediche.

Evidente la differenza tra l’art. 279 del D.lgs. n. 81/2008 (il datore di lavoro mette a disposizione il vaccino) e la disposizione in esame (gli esercenti la professione sanitaria sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione).

Assicurato l’equilibrio dei valori costituzionali, la disposizione descrive il perimetro dei soggetti interessati dall’obbligo. Stranamente, non si fa solo riferimento agli “esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario”, che avrebbe di fatto coinvolto l’intero panorama del personale sanitario impegnato nell’erogare le prestazioni di cura e assistenza, ma si delimita, in qualche modo, l’ambito applicativo prevedendo che detto personale debba svolgere la propria attività “nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali”.  La disposizione sembra, quindi, escludere dall’obbligo chi, pur esercendo la professione sanitaria, non lo faccia all’interno di quei luoghi.

Il dubbio, quindi, riguarda proprio l’estensione della norma al medico competente, il quale non sembra rientrare in alcuna delle categorie predette in quanto opera in azienda e non in una delle strutture suddette, non potendosi l’azienda identificare con nessuna delle strutture suddette (salvo interpretazioni estensive, ad esempio del concetto di studio professionale).

La norma precisa espressamente, poi, che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale all’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati” e “può essere omessa o differita solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestato dal medico di medicina generale.”

Le disposizioni successive regolano – con dettaglio proprio di un atto amministrativo regolamentare – tutte le procedure e le condizioni per l’attuazione dell’obbligo vaccinale.

Una questione problematica costituisce la tempistica inerente alla procedura di verifica della avvenuta vaccinazione (comma 3). Mentre per le professioni ordinistiche alla comunicazione alla Regione provvede il relativo Ordine (adempimento che avvia il percorso di verifica dell’avvenuta vaccinazione ovvero della vaccinazione), per gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali (ossia i massofisioterapista, operatore socio-sanitario e assistente di studio odontoiatrico), l’adempimento è posto a carico del datore di lavoro. La criticità è legata sia al termine (entro 5 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge, ossia il 6 aprile) sia alla modalità di comunicazione del nominativo (non essendo previste le modalità con le quali effettuare la comunicazione).

Alcune Regioni (es., il Lazio) hanno disciplinato immediatamente la comunicazione in via amministrativa.

Inoltre, la disposizione – disponendo la decorrenza dell’obbligo entro un termine dall’entrata in vigore del decreto-legge – tiene in conto solamente la situazione esistente, non disciplinando l’ipotesi dell’assunzione nel tempo di tali categorie (ad es., con lo strumento della somministrazione di manodopera).

Il comma 6 conclude che, l’accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale della mancata vaccinazione “determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2” e che (comma 8) “ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a diverse mansioni non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato.”

Il legislatore disciplina, quindi, tanto l’ipotesi della adibizione a mansioni differenti (da sottolineare la previsione della riduzione dello stipendio in caso di adibizione a mansioni inferiori) quanto la sospensione dall’attività senza retribuzione (nel caso di impossibilità di adibizione a mansioni differenti).

Le due ipotesi di adibizione a mansioni differenti o inferiori e di sospensione dallo stipendio si riferiscono evidentemente alla situazione in cui il personale sia parte di un rapporto di lavoro subordinato e (comma 9) mantengono efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.

La norma disciplina anche le regole comportamentali del personale che non si può vaccinare per un accertato pericolo per la salute ovvero per specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale (comma 2). Questi soggetti (comma 10) sono adibiti dal datore di lavoro a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione (a differenza di chi non si è voluto vaccinare), in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.  

A questi soggetti, inoltre, si applicano – in presenza delle condizioni di legge – le disposizioni sui lavoratori cd fragili, previste dagli articoli 2 e 2bis del decreto-legge n. 18/2020.

Se si tratta di liberi professionisti, invece, la norma (comma 11) prescrive l’adozione di uno specifico protocollo di sicurezza contenente le misure di prevenzione igienico-sanitarie da adottarsi entro 20 giorni dalla entrata in vigore del decreto-legge.

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