Con l’allegata circolare del 12 aprile 2021, il Ministero della Salute ha ulteriormente regolato l’ipotesi del rientro al lavoro dopo il contagio da covid19, aggiornando così le indicazioni date in precedenza e coordinandole con il Protocollo aggiornato il 6 aprile 2021.

Ministero della Salute – Circolare 12 aprile 2021

Confindustria aveva da tempo fatto rilevare, sia informalmente che per le vie formali, che le modalità di rientro in azienda non erano uniformemente applicate sul territorio nazionale e presentavano delle incoerenze e delle carenze.

In particolare, erano stati fatti rilevare l’incoerenza del rientro in azienda di personale ancora positivo (con evidenti ricadute sia sulla salute del lavoratore che sugli aspetti organizzativi del lavoro e delle responsabilità in caso di contagio) e i dubbi derivanti dal rientro in azienda dopo il contagio senza visita del medico competente (anche per questioni legate alla privacy).

A suo tempo, erano poi state evidenziate le criticità afferenti alla mancata comunicazione del certificato medico di malattia in presenza di quarantena o isolamento fiduciario nelle situazioni previste dall’art. 26, comma 1, del DL n. 18/2020.

Premessa

Il tema del rientro in azienda dei lavoratori dopo il contagio da Covid 19 costituisce, da tempo, uno degli aspetti di criticità.

Molti i profili coinvolti: l’individuazione delle condizioni di salute ai fini del rientro, i profili di privacy circa la conoscenza della diagnosi, gli aspetti organizzativi circa la compresenza al lavoro di soggetti sani e soggetti ancora positivi, gli aspetti di responsabilità per l’adibizione al lavoro di soggetti potenzialmente non perfettamente idonei, gli aspetti formali circa la certificazione di malattia tra il 21° giorno di isolamento e la negativizzazione del tampone.

Il Protocollo

Anche da ultimo, l’aggiornamento del Protocollo ha riproposto il problema.

Il documento si occupa del tema in due punti.

Il primo, relativo alle modalità di rientro in azienda, prevede che “la riammissione al lavoro dopo l’infezione da virus SARS-CoV-2/COVID-19 avverrà secondo le modalità previste dalla normativa vigente (circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 ed eventuali istruzioni successive). I lavoratori positivi oltre il ventunesimo giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario”.

Il secondo, relativo alla sorveglianza sanitaria, prevede che “la riammissione al lavoro dopo infezione da virus SARS-CoV-2/COVID-19 avverrà in osservanza della normativa di riferimento. Per il reintegro progressivo dei lavoratori già risultati positivi al tampone con ricovero ospedaliero, il MC effettuerà la visita medica prevista dall’articolo 41, comma 2, lett. e-ter del d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni (visita medica precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi), al fine di verificare l’idoneità alla mansione – anche per valutare profili specifici di rischiosità – indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”.

Come anticipato nella circolare di commento al Protocollo del 6 aprile, le due previsioni, per diversi motivi, evidenziano profili controversi, cui era opportuno dare una soluzione univoca.

La circolare

Prendendo spunto dal Protocollo rinnovato, dunque, la circolare evidenzia le cinque possibili ipotesi astrattamente verificabili e la soluzione per ciascuna di esse.

Evidenziamo fin d’ora che la circolare del 12 aprile non tiene conto di quella del 31 gennaio 2021, che ha formulato alcune indicazioni con specifico riferimento al tema delle varianti (che si ritiene mantengano la propria efficacia).

In mancanza di coordinamento, quindi, si ritiene opportuno adottare le misure che appaiono introdurre una maggior cautela in favore di imprese e lavoratori.

A) Lavoratori positivi con sintomi gravi e ricovero

Il Ministero precisa che l’ipotesi prevista nel Protocollo circa il ricovero ospedaliero, per la quale è prevista la visita medica al rientro, riguarda sia i lavoratori che si sono ammalati e che hanno manifestato una polmonite o un’infezione respiratoria acuta grave sia i soggetti che sono stati ricoverati in terapia intensiva.

In questo caso, il medico competente, ove nominato, deve ricevere la certificazione di avvenuta negativizzazione secondo le modalità previste dalla normativa vigente e poi effettuare la visita medica al fine di verificare l’idoneità alla mansione (si conferma così la circolare n. 14915 del 29 aprile 2020).

Si era evidenziato al Ministero della salute il problema relativo alla privacy ed alla condizione posta dalla disposizione in ordine alla conoscenza, da parte del medico competente, del pregresso ricovero ospedaliero sia per procedere alla visita medica al rientro sia al fine di distinguere tale ipotesi dal rientro del lavoratore positivo sintomatico (senza ricovero), possibile con il semplice certificato di negativizzazione (caso B).

Tale questione non ha trovato soluzione nella circolare, evidentemente ritenendo che il medico competente possa conoscere (sempre che il lavoratore lo dichiari) il pregresso ricovero ospedaliero.

B) Lavoratori positivi sintomatici

Al di fuori delle ipotesi di cui al punto A (e, quindi, in assenza di pregresso ricovero ospedaliero), il lavoratore che sia stato sintomatico può rientrare in azienda “dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test)”.

C) Lavoratori positivi asintomatici

La circolare precisa, poi, i criteri per il rientro in azienda del lavoratore positivo asintomatico.

I lavoratori risultati positivi alla ricerca di SARS-CoV-2 ma asintomatici per tutto il periodo possono rientrare al lavoro dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test)”.

Una importante precisazione riguarda i lavoratori guariti che convivano con un familiare ancora positivo: in questo caso, il Ministero precisa che questi soggetti non si considerano contatti stretti (con conseguente esclusione anche dell’obbligo di quarantena) e possono rientrare in servizio (sempre ovviamente con certificazione di negativizzazione del tampone e, nel caso A, con visita al rientro).

Secondo il Ministero, questi soggetti non devono rispettare la quarantena in quanto sono negativizzati ed hanno gli anticorpi del virus; discorso diverso è per il soggetto sano, convivente che, non essendosi negativizzato e non avendo sviluppato gli anticorpi del virus, posso essere contagiosi.

. In ogni caso, questi lavoratori secondo la circolare possono rientrare “alle modalità sopra indicate”, ossia – si ritiene – con tampone negativo e senza attendere il periodo di quarantena.

D) Lavoratori positivi a lungo termine

Una delle ipotesi maggiormente discusse è quella della possibilità di rientro in azienda del lavoratore ancora positivo dopo 21 giorni di isolamento. Il problema è stato ingenerato dalla circolare del 12 ottobre 2020 del Ministero della salute, secondo la quale, in questa ipotesi, era possibile la riammissione in comunità, così ingenerando il dubbio della possibilità di rientro anche al lavoro.

 Il Protocollo fa espresso riferimento alla circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020, ma introduce una deroga esplicita con riferimento al rientro al lavoro e precisa che “i lavoratori positivi oltre il ventunesimo giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario”.

La circolare in commento si allinea dunque al Protocollo “in applicazione del principio di massima precauzione”.

Confindustria aveva evidenziato la lacuna esistente nella regolamentazione del periodo di tempo intercorrente tra la riammissione in società al ventunesimo giorno e la successiva riammissione in servizio al diverso momento della negativizzazione del tampone.

Il Ministero, accogliendo la sollecitazione, ha precisato che “il periodo eventualmente intercorrente tra il rilascio dell’attestazione di fine isolamento ai sensi della Circolare del 12 ottobre e la negativizzazione, nel caso in cui il lavoratore non possa essere adibito a modalità di lavoro agile, dovrà essere coperto da un certificato di prolungamento della malattia rilasciato dal medico curante”.

Si tratta di una precisazione importante, in quanto consente:

  1. di riammettere al lavoro chi sia idoneo a tornare in società, considerandolo quindi totalmente guarito, laddove possa svolgere attività in modalità di lavoro agile;
  2. di essere considerato necessariamente (“dovrà”) in malattia proseguendo lo status di malattia (isolamento) dei ventuno giorni antecedenti laddove non sia possibile lo svolgimento del lavoro in modalità agile.

Questa precisazione conferma la tesi secondo la quale lo stato di malattia che preclude il lavoro (anche in modalità agile) è solamente quello sintomatico, mentre, in caso di lavoratore positivo ma asintomatico, manca lo stato di malattia, con conseguente possibilità di lavoro (seppure in modalità agile nella logica della rarefazione del personale in presenza).

In questa ipotesi, secondo la circolare, non è necessaria la visita al rientro (evidentemente, non essendovi stata ospedalizzazione), salva richiesta del lavoratore. Resta fermo, quindi, il dubbio in ordine alla possibilità per il medico competente di valutare la visita al rientro come opportuna in relazione, ad esempio, alle mansioni del lavoratore.

E) Lavoratore contatto stretto asintomatico

La circolare regola finalmente in modo esplicito anche un altro aspetto, di particolare interesse per le imprese.

Confindustria aveva da tempo segnalato l’esigenza di disciplinare formalmente la situazione del lavoratore che ha titolo alla quarantena o all’isolamento fiduciario in quanto contatto stretto di un caso positivo, dal momento che spesso le certificazioni mediche non venivano rilasciate dal medico di famiglia e l’azienda non poteva gestire la relativa situazione.

La circolare precisa, ora, che “il lavoratore che sia un contatto stretto di un caso positivo, informa il proprio medico curante che rilascia certificazione medica di malattia salvo che il lavoratore stesso non possa essere collocato in regime di lavoro agile (cfr. messaggio Inps n. 3653 del 9 ottobre 2020)”.

In questo modo, si consente di applicare l’equiparazione delle situazioni previste dall’art. 26, comma 1, del DL n. 18/2020 alla malattia, ai fini economici. Ora, quindi, il medico di famiglia dovrà necessariamente certificare lo stato di malattia se il lavoratore non possa svolgere le proprie mansioni in modalità di lavoro agile.

La situazione di malattia ai fini economici e la conseguente attività in modalità di lavoro agile terminano quando il lavoratore ha effettuato una quarantena di dieci giorni dall’ultimo contatto con il caso positivo e si è sottoposto all’esecuzione del tampone con referto di negatività del tampone molecolare o antigenico.

Il referto è trasmesso dal Dipartimento di Sanità Pubblica o dal laboratorio dove il test è stato effettuato al lavoratore, che ne informa il datore di lavoro per il tramite del medico competente, ove nominato.

Su questo ultimo aspetto, si evidenzia che il finanziamento previsto a copertura della misura della equiparazione tra quarantena/isolamento fiduciario e malattia (art. 26, comma 1, DL n. 18/2020) è previsto per il solo anno 2020, aspetto che l’Inps ha evidenziato al Ministero del lavoro per sollecitare l’ulteriore copertura finanziaria.

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