Riportiamo un primo commento di Confindustria sugli aspetti di salute e sicurezza del DPCM 13 ottobre 2020

Premessa

Il DPCM 13 ottobre 2020, adottato per fronteggiare l’emergenza COVID19, introduce alcune restrizioni rispetto a quelle previste nel precedente documento del 7 ottobre (che prorogava quello del 7 settembre).

Il dato più recente sull’andamento dell’epidemia ha indotto il Governo ad adottare misure maggiormente vincolanti soprattutto con riferimento alle attività sociali, posto che, secondo gli esperti, “la trasmissione locale del virus, diffusa su tutto il territorio nazionale, provoca focolai anche di dimensioni rilevanti soprattutto segnalati in ambito domiciliare/familiare”.

Il provvedimento si muove sulle linee del decreto legge n. 125/2020, che – oltre a formalizzare per via normativa la proroga dello stato di emergenza al 31 gennaio 2020 adottata con Delibera del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020 – aveva già previsto interventi di maggior rigore.

In particolare, ci si riferisce all’art. 1, comma 1, lett. b), dove prevedeva la possibilità di introdurre l’”obbligo di avere sempre con sé dispositivi  di  protezione delle vie respiratorie,  con    possibilità di prevederne l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al  chiuso  diversi  dalle abitazioni private e in tutti i luoghi  all’aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per  le  circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee  guida  anti-contagio  previsti  per  le attività economiche, produttive, amministrative e  sociali,  nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande”.

Contemporaneamente, sempre al fine di aggiornare gli strumenti di contrasto al virus, vanno sottolineati altri interventi: tra questi, l’aggiornamento delle linee guida delle Regioni, allegate al DPCM, con provvedimento dell’8 ottobre;  la revisione delle modalità per la gestione della quarantena (circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020, in linea con il parere del CTS del giorno precedente) e la pianificazione delle attività di contrasto al COVID19 in vista del periodo autunnale-invernale (circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020).

Il DPCM fa espressamente salvi i protocolli di sicurezza

In primo luogo, va evidenziato che il provvedimento, in linea con la garanzia contenuta nel decreto-legge n. 125/2020, fa ripetutamente salvi i Protocolli previsti per le attività produttive.

Nel precedente DPCM, la precisazione era contenuta esclusivamente nell’articolo 2, da sempre dedicato, nei vari DPCM succedutisi nel tempo, al riferimento ai Protocolli, e sempre si faceva salva l’applicazione delle misure generali senza che queste derogassero ai Protocolli.

Nel provvedimento in commento, invece, la garanzia della salvezza dei protocolli è presente anche all’articolo 1, dove – ripetendo il testo del decreto-legge richiamato – si rafforza espressamente (“e comunque”) la previsione della prevalenza dei Protocolli nei luoghi di lavoro.

Resta, ovviamente, la previsione dell’articolo 2, nella formulazione identica a quella presente nei precedenti DPCM.

Deve, dunque, ritenersi che l’espressa eccezione alle regole generali confermi integralmente la “riserva” in favore dei protocolli.

La sottolineatura si rende opportuna in quanto il comma 1 dell’art. 1 del DPCM introduce, per la intera cittadinanza, l’obbligo di portare sempre con sé la mascherina e di indossarla “nei luoghi al chiuso”. Il comma 4 – ad ulteriore dimostrazione che la disposizione non si riferisce alla mascherina chirurgica prevista per i luoghi di lavoro – precisa che si può trattare di qualsiasi tipo di protezione per la bozza ed il naso. Inoltre, tra i luoghi al chiuso sarebbero ricompresi anche tutti i luoghi di lavoro, se lo stesso comma 1 non facesse subito salva l’applicazione dei protocolli e delle linee guida.

Così come la previsione dell’obbligo di indossare la mascherina “in tutti i luoghi all’aperto” porrebbe dubbi interpretativi con riferimento, ad esempio, alle regole disposte per i cantieri e per tutte le attività produttive che si svolgono all’aperto, se mancasse la disposizione della salvezza dei protocolli.

Nessuna modifica, quindi, alle regole da osservare nei luoghi di lavoro, né con riferimento agli uffici (come anticipato da qualche articolo giornalistico nei giorni scorsi) né riguardo agli spazi comuni (per i quali continuano a vigere le stesse regole previste nel protocollo del 14 marzo 2020).

Diversamente opinando, la sussistenza dell’obbligo di indossare ovunque e continuamente la mascherina (di qualunque tipo, non necessariamente quella chirurgica e salve le ipotesi di obbligo di DPI), a prescindere dal rispetto della distanza, supererebbe tutte le previsioni che, invece, nei luoghi di lavoro, ne legano l’uso obbligatorio ad ipotesi specifiche (distanza inferiore ad un metro, spazi comuni, etc.): le due situazioni giuridiche sono evidentemente incompatibili tra di loro e, soprattutto, con la espressa salvezza dei protocolli.

Deve, quindi, ritenersi che la espressa garanzia contenuta nel decreto-legge e ripetutamente presente nel DPCM consente di affermare la perdurante validità dei Protocolli.

L’adeguatezza del Protocollo 14 marzo 2020

La circolare del 12 ottobre 2020 del Ministero della salute, nel delineare le linee di “Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale”, riporta un passaggio che conferma espressamente la piena adeguatezza del Protocollo anche in prospettiva, così supportando la scelta del Legislatore e del Governo di mantenerne salva l’efficacia, anche in una situazione di potenziale peggioramento della situazione pandemica.

Secondo questo documento, infatti, a proposito del “Contributo del sistema di prevenzione aziendale nei luoghi di lavoro”, “il sistema realizzatosi nel tempo si è già rivelato, con maggiore valenza di sempre, come una naturale infrastruttura in grado di contribuire alla mitigazione del rischio, alla luce della integrazione di misure organizzative di prevenzione e protezione previste a partire dal “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo e la sua integrazione del 24 aprile e nei Protocolli di settore, favorendo – anche per il periodo autunno-invernale – la tutela della salute e sicurezza dei 23 milioni di lavoratori interessati, con inevitabili ricadute positive anche sulla collettività. Particolare rilievo continua a rivestire la sorveglianza sanitaria anche in relazione alle attività di informazione sul rischio nonché per la tutela dei lavoratori cosiddetti “fragili”.

L’uso della mascherina nei luoghi isolati

Il DPCM, ripetendo l’analoga previsione del DL n. 125/2020, esclude l’obbligo di indossare la mascherina nei “casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi”.

La previsione ha ingenerato perplessità interpretative, in quanto non sarebbe chiaro se si riferisca solamente ai luoghi all’aperto o anche ai luoghi al chiuso, così facendo sorgere la questione della sussistenza o meno dell’obbligo relativamente ai luoghi di lavoro nei quali possa, in qualche modo, essere garantito l’isolamento continuativo.

Anche da questo punto di vista, va rilevato che, immediatamente dopo, la norma fa espressamente salvo il riferimento ai protocolli: a prescindere, dunque, dalla interpretazione del passaggio normativo, deve ritenersi che continuino in ogni caso a trovare applicazione le regole dei protocolli, legate all’uso della mascherina laddove non sia possibile il distanziamento di un metro (salvo quanto previsto per gli spazi comuni).

Le misure di precauzione: distanziamento fisico, igiene e mascherine

Il comma 2 dell’art. 1 conferma l’obbligo di distanziamento di almeno un metro, mentre al comma 5 si afferma che distanziamento fisico e costante e regolare igienizzazione delle mani costituiscono misure “invariate e prioritarie”, alle quali si aggiunge l’uso della mascherina. La declinazione delle misure evidenzia il carattere residuale della mascherina, che, evidentemente, costituisce un rimedio meno efficace dei due prioritari ma che, sommata ai precedenti, contribuisce ad integrare efficacemente la tutela della salute.

La raccomandazione dell’uso della mascherina in tutti i luoghi chiusi, anche nella privata dimora

Il provvedimento (art. 1, comma 1) contiene una forte raccomandazione (nella impossibilità di introdurre un obbligo giuridicamente rilevante) a indossare la mascherina nelle abitazioni private (in presenza di persone non conviventi).

Sebbene tale misura riguardi l’abitazione privata, si può ritenere che, per analogia, e pur nella conferma dei Protocolli, la raccomandazione possa valere anche per i luoghi di lavoro, che è possibile avvicinare al luogo chiuso della abitazione (restando escluso che i colleghi di lavoro possano rientrare nel novero dei conviventi).

Resta evidente la distinzione tra obbligo e raccomandazione: l’andamento dell’epidemia, tuttavia, non può che suggerire comportamenti precauzionali sempre in linea con le evidenze scientifiche.

La misurazione della febbre

Il comma 6 individua ulteriori misure di precauzione. In particolare, si conferma l’obbligo di rimanere al proprio domicilio per chi ha la temperatura superiore a 37,5°: la previsione consente di evidenziare che, prima ancora del divieto di ammissione al lavoro, vige a monte l’obbligo di tenere sotto controllo la temperatura ed il divieto di recarsi al lavoro, oltre a quello di contattare il medico di famiglia.

La conferma dei protocolli

L’articolo 2, come sopra richiamato, nel testo del tutto identico a quello dei precedenti DPCM, conferma l’obbligo di rispetto dei protocolli e delle linee guida relativamente alle attività produttive.

Spostamenti da e verso l’estero

Viene disciplinato il tema degli spostamenti da e per l’estero, anche al fine di integrare nel provvedimento governativo le recenti indicazioni del Ministero della salute (in particolare, ordinanza del 7 ottobre 2020).

In particolare, ferma la sostanziale conferma delle regole attualmente vigenti, per l’ingresso dai Paesi indicati nell’allegato C, non si prevede la quarantena ma la sottoposizione ad un tampone molecolare o antigenico (nel Paese di partenza ovvero in Italia, all’arrivo e, comunque, entro le 48 ore, con obbligo di isolamento fiduciario in attesa di sottoporsi al test).

Si conferma, poi, l’esenzione dalle limitazioni concernenti l’isolamento o la quarantena per chi fa ingresso dall’estero per ragioni non differibili, previa autorizzazione del Ministero della salute, e si sia sottoposto al tampone molecolare o antigenico con esito negativo nelle 72 ore precedenti.

Profili sanzionatori

I profili sanzionatori relativi alle violazioni delle prescrizioni contenute nel DPCM restano indicati nel testo aggiornato dell’articolo 4 del DL n. 19/2020 (convertito nella legge n. 35/2020), di cui il DPCM costituisce attuazione.

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